Monvigliero, Rocche dell’Annunziata, Coste di Rose, Bricco Boschis, Cerretta e Ginestra. Sono questi i 6 cru che abbiamo scoperto (o riscoperto) insieme durante le due serate che la Compagnia del Calice ha dedicato al Barolo.
Il nostro viaggio, però, è iniziato da molto lontano, dall’origine del Nebbiolo, uva probabilmente autoctona – come dimostrato dagli studi di genetica dell’Università di Torino – e pre-romana – già presente nell’area occupata dagli antichi Liguri, dal basso Piemonte al Canavese, Colline Novaresi, l’Ossola e su fino alla Valchiavenna e Valtellina. La prima testimonianza, come spesso capita parlando di vino, è forse quella di Plinio il Vecchio che, nella “Naturalis Historia”, parlava dell’uva “spinea o spionia … che sopporta il calore e matura alle piogge d’autunno … che si nutre di nebbia”. Plinio la colloca forse per sbaglio – non lo sapremo mai – nella nebbiosa pianura di Ravenna, ma oltre alla descrizione colpisce la somiglianza con il nome “Spanna”, come chiamano ancora oggi il Nebbiolo nell’alto Piemonte.
Nel Medio Evo emerge il nome del “Nebiol”, prima a Rivoli nel ‘200, poi nel Roero e nelle Langhe. A fine ‘500 il Nebbiolo è “la Regina delle uve nere… poiché fa vino generoso, gagliardo, e dolce ancora, qual lungamente e bene si conserva due, e tre anni tale”, come ci racconta Giovan Battista Croce – gioielliere e confidente del Duca di Savoia, nonchè architetto e winemaker ante litteram – nel trattato “Della eccellenza e diversità de i vini che nella Montagna di Torino si fanno e del modo di farli”.
Il nome Barolo si usa già nel ‘700, ma la nascita del Barolo “moderno”, secco e non più dolce, avvenne attorno al 1840 per merito di Giulia Colbert Marchesa Falletti di Barolo e Camillo Benso Conte di Cavour che fecero venire in Langa l’enologo francese Louis Oudart per confezionare un vino rosso secco alla moda borgognona. Vittorio Emanuele II apprezzò talmente il nuovo Barolo che ingrandì la tenuta di caccia di Fontanafredda a Serralunga d’Alba e lo fece assurgere a re dei vini e vino dei re.

E il viaggio nella storia, per chi era presente, si è accompagnato ad un viaggio nella gastronomia del territorio: pancetta dell’Agriturismo Cascina Mondino di Vicoforte, salsiccia di Bra con granella di nocciole (rigorosamente “Tonda Gentile”), formaggi delle Alpi Marittime del margaro Simone Basso (caprino e pecorino dagli alpeggi della Valle Ellero), infine una digressione con la sublime toma di Bardonecchia di Mariuccia Ferro Tessior (dagli alpeggi di Valfredda). Ma gli ospiti scalpitano di andare alla ricerca dei colori, dei profumi e dei sapori che caratterizzano le varie vigne e i diversi stili di vinificazione-affinamento dei nostri Baroli. E per meglio apprezzare ogni sfumatura, ci avventuriamo alla cieca a scoprire a due a due i 6 vini selezionati.
La prima coppia è rappresentata dal Barolo Rocche dell’Annunziata 2009 Gagliasso (La Morra) e dal Barolo Coste di Rose 2009 Bric Cenciurio (Barolo), due vini molto profumati, eleganti e già armonici. Sono espressione di due vigneti che si caratterizzano per altitudini non elevate (300-320 metri s.l.m.), ma si differenziano per esposizione (sud il primo, sud-est il secondo) e per il terreno. La differenza di affinamento, barrique per il primo e botte da 25 hl per il secondo, emerge al naso e anima l’immancabile discussione tra legno piccolo francese e legno grande di Slavonia. 


L’annata 2009 ha sicuramente lasciato il segno negli oltre 80 ospiti che hanno partecipato alle due serate del 21 e 29 novembre presso il Santa Giulia Art & Wine Residence. E’ palpabile la loro soddisfazione nell’apprezzare le differenti personalità che il Barolo assume, nel riconoscere se nel bicchiere di sinistra ci sia l’uno o l’altro dei cru. Ma la soddisfazione è anche nostra per aver selezionato e proposto ad un pubblico così curioso e appassionato, ottimi ed emblematici prodotti di vecchie e nuove “cantine amiche” .
Il percorso tra le colline della DOCG del Barolo, però, non è ancora finito. Ci aspettano ancora delle grandi emozioni, quelle che ci regalano gli ultimi due vini della serata. Due prodotti che arrivano da paesi e cru molto diversi tra loro, agli estremi opposti della magica zona del Barolo.
Il Barolo Monvigliero 2006 dell’azienda Bel Colle di Verduno merita da anni i 3 bicchieri della guida del Gambero Rosso e l’annata conferma la qualità di questo prodotto. La collina di Monvigliero è all’estremità nord dall’area della DOCG: alle spalle degrada verso la pianura e il fiume Tanaro, ma la perfetta esposizione a sud e la bassa quota sono ideali per la lenta maturazione del Nebbiolo, tanto che questo antico cru a cavallo tra ‘800 e ‘900 rivaleggiava con i Cannubi di Barolo per reputazione tra i vignaioli della zona. Inoltre possiede caratteristiche del suolo uniche tra tutti i comuni della DOCG. La presenza di stratificazioni di gesso, infatti, determina maggior finezza al naso, conferendo una marcata speziatura di pepe bianco, caratteristica che si ritrova peraltro nell’altro vino tipico di Verduno, il Pelaverga. Insieme poi ai più tipici sentori di rosa appassita e ciliegia emergono anche interessanti note balsamiche di salvia e menta. Se i precedenti Barolo, annata 2009, erano da valutare un po’ in prospettiva, negli ultimi due prodotti proposti il tempo è già intervenuto ad arrotondare i tannini e donare maggior armonia.
Tra i comuni più rappresentativi della DOCG, manca ancora all’appello quello più a sud, Monforte d’Alba. Il suo cru più prestigioso e rappresentativo è sicuramente la Ginestra, suddiviso a sua volta in tre sottozone differenti: Ginestra, Pajana e Grassi-Gavarini. Su quest’ultima collina è ubicata l’azienda vinicola Elio Grasso, circondata dalle vigne di proprietà che danno origine a 3 diversi Barolo. 
Insomma: non esiste un solo Barolo, ma tanti Baroli diversi quanti sono i cru che costellano queste meravigliose colline, e quante sono le storie degli uomini che in vigna e in cantina creano questo ben di Dio. E che dire della dimensione temporale: ogni annata porta sfumature diverse, esaltando ora questo ora quel cru, e ciascuno donerà ancora sensazioni diverse ad ogni passo della sua lunga evoluzione. Tra mille sfaccettature, il comune denominatore è uno solo: che non smettono mai di affascinarci, stupirci e di farci sorridere quando portiamo il calice al naso!

Per chi avrà la pazienza di aspettare l’anno prossimo… scopriremo insieme i cru del Barbaresco. Nel frattempo organizzate una visita nelle storiche cantine di Cavallotto e di Elio Grasso, degustate in azienda gli altri prodotti di Bel Colle e Bric Cenciurio o godetevi una pasto langarolo negli agriturismi Il Torriglione di Gagliasso e Schiavenza!!!
In allegato la brochure dell’evento
A presto
Gabriele e Giorgio




