Degustare “vecchie” bottiglie è sempre una grande emozione, anzi, a dire il vero, sono tante emozioni in una, ma con anche un po’ di apprensione.

La prima emozione ti coglie quando scopri di aver l’occasione per assaporare certe annate e a certe etichette. E noi de La Compagnia del Calice qualche settimana fa abbiamo avuto l’opportunità di poterci incontrare intorno ad alcuni “signori” vini d’altri tempi: Barolo Montanello 1976 (cru e cantina di Castiglione Falletto), Barbaresco Gaja 1977 (il re di Barbaresco) e Barolo Conterno 1969 (filari mitici in quel di Serralunga d’Alba e cantina storica di Monforte d’Alba).

La seconda emozione c’è quando si tengono tra le mani certe bottiglie e, togliendone la polvere per far riemergere le antiche etichette, t’immagini cosa succedeva in quel millesimo tra le vigne e le botti. Solo botti grandi, allora, magari anche di legni meno nobili delle roveri francesi o di Slavonia, ma che hanno saputo elevare Baroli e Barbareschi eccellenti. A noi è piaciuto immaginare il giovane Angelo Gaja, che allora stava iniziando a salire gli scalini dell’Olimpo, in mezzo al cru Pajorè in un giorno d’estate proprio del ’77, intento a decidere se provare a diradare un po’ di più i suoi grappoli di Nebbiolo, andando contro le tradizioni di allora, per sperimentare un vino più intenso e longevo.

Ma oltre alle emozioni, c’è anche l’apprensione; quella che, ahimè, ti recano i tappi che hanno protetto, speriamo al meglio, i vini. Stappare certe bottiglie è operazione lenta, precisa, quasi chirurgica. Anche solo un po’ di pressione in più potrebbe sbriciolare e rovinare il sughero. Nulla di gravissimo, di per sé, dovendo comunque filtrare il vino; ma l’amore e il rispetto con cui ci si approccia a questa degustazione, impongono la massima cura nell’estrarre integro il tappo per poi ammirarne la compattezza e decodificarne gli odori del tempo.

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E come non sottolineare l’emozione nell’iniziare a versare, timidamente, il vino nel decanter e scoprire che il colore è ancora sorprendentemente integro. I  nostri tre vini ci hanno colpito non tanto per la prevedibile tonalità aranciata, tipica del nebbiolo nelle sue lunghe evoluzioni, ma per la brillantezza del colore che l’età non aveva minimamente scalfito.

Quando, poi, si accosta il bicchiere al naso, prima di librarsi alla ricerca di profumi terziari, ritorna una sensazione di apprensione mista a trepidazione. Come non chiedersi “Chissà se una bottiglia così importante ha tenuto?!? Se fosse mai difettosa, quando mi ricapiterà di aprire un altro Barolo di Conterno degli anni 60!!!”. Noi  però abbiamo avuto fiducia cieca nei grandi vignaioli di Langa e nel loro grande vitigno e siamo stati premiati. Tre vini sicuramente diversi, con sentori tra loro differenti ma parimenti emozionanti. Ci hanno colpito le note torrefatte e di cacao del Barbaresco di Gaja, il goudron e le complesse sensazioni ossidate del Barolo di Contorno e la riconoscibilità di viola appassita e di liquirizia del vitigno del Barolo di Montanello.

L’ultima emozione, la più ovvia e la più grande, la regalano i piccoli e attenti sorsi. “E’ mai possibile che siano davvero trascorsi 40 anni?” ci siamo chiesti. Il tannino e la freschezza del Barolo di Montanello ci hanno davvero ammaliato, magia del nebbiolo. Proprio il vino che forse ha meno curriculum tra i tre degustati – non ce ne voglia Alberto ultima generazione della famiglia Racca che da metà del ‘800 possiede e conduce la Tenuta Montanello – è stato quello ha regalato più emozioni!

Un umile grazie a chi ha creato questi “signori” vini, e un altro più affettuoso a chi li ha condivisi con noi.

             Gabriele